Omelia della V Domenica di Pasqua

Fratelli e Sorelle carissimi, Paolo e Barnaba sanno bene che non basta annunciare il Vangelo e poi andarsene credendo di avere già fatto tutto, bisogna infatti anche accompagnare i fedeli nelle loro difficoltà, nel loro cammino di santificazione, così i due li vediamo rincuorare le comunità da loro fondate sottoposte ad ostilità sia da parte giudea che da parte pagana. Quello che i due dicono è che “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”. Infatti, fratelli e sorelle, in quale parte del Vangelo si dice che chi segue Gesù non avrà mai difficoltà, che la sua vita trascorrerà tranquilla senza problemi, che la malattia, il dolore non lo visiteranno mai? Dove è scritto che si avrà sempre il consenso, il plauso di tutti? Non c’è scritto questo. C’è scritto, certo, che Dio provvederà ai bisogni dell’uomo “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, ma non c’è scritto che non si avranno tribolazioni. Paolo e Barnaba mettevano in chiaro questo, per arginare e vincere lo scoramento insorgente qua e là. Forse oggi si mette poco in chiaro che la tribolazione ci farà la sua visita prima o poi. Anzi non sarà una tribolazione alla volta, ma una dietro l’altra, parecchie volte. Una si stratifica sull’altra; e arrivano precipitosamente per poi andarsene lentamente. Ma “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”: è necessario. Giacomo nella sua lettera (1,2-4) ci dice che bisogna considerare “perfetta letizia” le situazioni di prova perché per mezzo di esse, sostenute con fede e pazienza, si giunge ad essere “perfetti ed integri, senza mancare di nulla”. Quale il processo di questa “necessità”? Ecco, quando subiamo un torto, una calunnia, il nostro cuore cosa fa? Si agita. Lo sappiamo bene tutti. Lo sguardo dardeggia, emergono pensieri di rivalsa. E’ il nostro amor proprio che insorge e che vuole essere assecondato, nella promessa che ne avremo pace. E noi tante volte facciamo quello che l’amor proprio, od orgoglio, se preferiamo chiamarlo così, ci suggerisce di fare – notate – “per il nostro bene”. Ma noi non dobbiamo assecondare l’amor proprio, che è errata stima di se stessi. Ci sarà battaglia dentro di noi, ma se obbediamo nella fede alla Parola e preghiamo per aver forza vinceremo, si stabilirà nel nostro cuore tanta pace, che è il frutto dell’incontro con il Signore (Cf. Gc 3,17). La “necessità” delle tribolazioni nell’economia della redenzione ce la illustra lo stesso Signore, il quale non solo dice che avremo difficoltà e persecuzioni (Cf. Gv 16,33), ma che ciò è necessario. Infatti, il Signore disse ai discepoli di Emmaus (Lc 24,26): “Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. “Per entrare nella gloria”. Gesù disse che il mondo infliggendogli la croce in realtà gli aveva fornito il mezzo della sua glorificazione. La gloria viene data al vincitore, e la croce fu per Gesù l’arma di vittoria contro il male. Questo ci dice Gesù nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”. Cominciano umiliazioni e tormenti, ma comincia pure la vittoria. Ogni istante della passione è istante di vittoria, di conquista. Il faraone dell’abisso, il demonio, ordendo la macchina di dolore che ucciderà Gesù, si vedrà sconfitto, perché il legno della croce toccherà il Mar Rosso del Cielo, e questo si aprirà (Es 14,16). Quel Mar Rosso celeste aperto (Cf. Ap 15,2-3) sarà attraversato dalle moltitudini che passeranno il “mare celeste” attraverso la croce. Il Figlio, accettando la croce, diede gloria al Padre perché manifestò con il suo sangue redentore l’infinito amore del Padre per gli uomini, che già con la parola aveva manifestato (Gv 3,16): “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Ne conseguirà che il Padre lo glorificherà e lo glorificherà subito con la risurrezione. L’amore cresce con la croce. L’amore cresce con il patire. Il mondo per essere salvato ha bisogno di amore e di dolore. Certo, questo è un discorso che non piace oggi a tanti e tanti cristiani, ma è strettamente fondato sulla parola di Dio. Noi siamo in Cristo e dobbiamo imitarlo. Dobbiamo amarci gli uni gli altri come lui, che è il modello, ha amato noi, e dobbiamo rendere grazie al Signore che ci ha dato di amarci (Cf. Col 3,15). Per salvarci dobbiamo amare gli altri come noi stessi, includendo i nemici; ma se vogliamo diventare amici di Gesù (Cf. Gv 15,14), intimi di Gesù, dobbiamo andare oltre e puntare all’altissimo vertice dell’amare gli altri come lui ci ha amato. Questo vertice vuole un amore costante alla croce, che è vincolo di perfezione d’amore verso Dio, verso gli altri, verso tutti, anche i nemici. E’ amare gli altri più di se stessi. “Viva la croce” era il grido appassionato di santa Veronica Giuliani. “Patire o morire”, era quello di santa Teresa d’Avila. “Patire e non morire”, era quello di santa Maria Maddalena de Pazzi. “O qual croce senza croce”, era quello del santo Grignon de Montfort. Queste vette della carità non sono in nulla confondibili con il masochismo, che è perversione sessuale nell’essere oggetto – si badi bene – di una sofferenza richiesta in chiave erotica ad un altro ugualmente perverso. La croce cristiana è accettazione del dolore inflitto dal mondo per cambiare, nella luce e nella pace, il mondo. Voi mi direte, ma una malattia non è inflitta dal mondo! No, anche quella è inflitta dal mondo. Certo la denutrizione produce malattie, certo l’inquinamento produce malattie. ma voglio dire ci sono anche le malattie genetiche. queste procedono per via ereditaria e hanno i loro punti di partenza in connubi con il male. Ma per il cristiano la croce, qualunque sia la sua natura, è occasione di vittoria, poiché (Rm 8,28): “Tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio”. Questo insegnavano Paolo e Barnaba ai cristiani nella prospettiva della gloria celeste, dove come dice il testo dell’Apocalisse (21,4): “asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”. La croce è sempre lo sfogo odioso del mondo contro chi non vuol sottomettersi ad esso. La croce è sempre l’attacco furibondo del demonio contro il fedele vivo in Cristo. A Listra, Iconio, Antiochia, i cristiani rifiutavano le seduzioni pagane e così il mondo reagiva cercando di snervarli con la paura, il carcere, la morte. Paolo e Barnaba garantiscono: tutto ciò è secondo il Vangelo di Cristo, non c’è da temere: attraverso la croce accettata in Cristo si giunge alla gloria eterna.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur

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